Ho iniziato Alan Wake II con discreto ritardo rispetto alla maggior parte di voi. Le ragioni sono molteplici: non avevo la Spada di Damocle della recensione che pendeva sulla mia testa; in generale, non ne posso più della Fomo, dell’hype e di tutto ciò che ne consegue – avevo letto molto, troppo, sulle mie diverse timeline social da averne già abbastanza al decimo post che ci ficca forzatamente dentro David Lynch perché, quando si parla di autorialità, se non lo citi, non sei nessuno; ma soprattutto, cosa più importante, non ne avevo voglia. Ma proprio zero. Apatia totale.
Vi capita mai di desiderare di giocare a qualcosa, ma al tempo stesso di non sentirvi nel giusto stato d’animo per farlo? La fine del 2023 è stata di una pesantezza unica da un punto di vista fisico, ma soprattutto mentale: aprivo un foglio di Word e provavo disgusto, il che è un problema piuttosto grave se un buon 90% del tuo lavoro dipende dallo scrivere. Figuriamoci giocare, soprattutto quando sei costantemente martellata da racconti entusiastici e no, tu non ne hai veramente voglia di sorbirti e sciropparti il tuo ennesimo senso di vuoto, il tuo ennesimo confronto con una realtà esterna diversa da quella tua interiore, la tua ansia da prestazione, perché non provi più nulla di fronte a qualcosa che è nata per intrattenerti.
Ho messo su Alan Wake II un pomeriggio perché dovevo effettuare un paio di test per lavoro e, di nuovo, quel senso di noia – ma ok, vado avanti che non si sa mai. Colleziono una decina di ore in qualche giorno, giocando nei momenti morti: stava iniziando a ingranare, ecco i primi collegamenti ai vari Control, Quantum Break, stavo finalmente uscendo da quella sensazione di indolenza…e poi…
File in cloud corrotto.
Ho perso tutto.
Un fottuto aggiornamento del gioco mi ha cancellato ogni cosa.
L’ho trovato un ironico pain-in-the-neck, una sorta di punizione divina perché, dopo tanto tempo, stavo di nuovo riprovando gusto a giocare; e proprio per questa ragione, il videogioco si è ribellato a me. Sei stata una stronza, mi ha maltrattato per troppo tempo e adesso, sul più bello, ti rimetto in riga. Ci sta. Nel senso che no, ho lanciato le peggiori imprecazioni possibili quando è successo, ho maledetto i Remedy e tutta la loro stirpe passata e futura; ma alla fine, passata l’incazzatura (durata all’incirca una settimana) e complici le vacanze natalizie, mi sono rimessa di buona lena e ho ricominciato tutto dall’inizio.
Una nuova bozza.
Ma più andavo a fondo della storia del gioco, più scavavo nelle sue pieghe, e più mi sentivo attratta dal Luogo Buio. Una stanza con sole due finestre – simili a due occhi sul nulla – una scrivania, una sedia, una macchina da scrivere e due lavagne. Gli appunti, quelli che – nonostante usi solo ed esclusivamente il PC per fare qualsiasi cosa – ho ancora l’abitudine maniacale di prendere su foglietti volanti o vecchi block-notes per costruire e disfare il discorso, più e più volte. Un loop in cui, esattamente come Alan, ero intrappolata da mesi, dove quelle parole che avrebbero dovuto essere una salvezza (mentale) mi si stavano ritorcendo contro. L’opera d’arte perfetta, l’ossessione per l’opera d’arte perfetta si stava tramutando in un incubo. Art must be beautiful, artist must be beautiful. E poi un pensiero a Immortality, fugace, potente, come una scarica elettrica.
Alan Wake II mi stava guardando dentro in modo inconsapevole. Il Luogo Buio stava prendendo forma per la prima volta dopo mesi, era palpabile, aveva finalmente preso corpo e ho potuto definirne i contorni. The Dark Place è quello spazio che portiamo dentro di noi, in cui ci nascondiamo per fuggire da una realtà di cui abbiamo paura. È una zona di comfort all’incontrario, dove i timori e le insicurezze vengono amplificati a dismisura, ci attanagliano, ci fanno sprofondare in un baratro – e da cui facciamo fatica a scappare. Perché nonostante odiamo stare lì, è più facile stare lì; e più proviamo a trovare scappatoie e più quel luogo ci trascina sul fondo come un macigno legato ai piedi.
Il Luogo Buio è non il non sentirsi mai abbastanza, è la sindrome dell’impostore, è il dolore dopo un lutto, è la Depressione. È una stanza in cui urliamo nel silenzio, in cui troviamo apparente rifugio perché il mondo esterno non è in grado di cogliere la sofferenza che ci portiamo dentro. Il Luogo Buio è un tentativo di viaggio dal basso verso l’alto, è un iter di discesa in attesa dell’ascesa.
Ma da cui si evade, ad un certo punto.
Con un interruttore che si accende, accecante e potente. Alan Wake II ha funzionato, per certi versi, quasi quanto una prima seduta di analisi, in cui mi sono guardata dall’esterno per la prima volta dopo tanto tempo. È arrivato in un momento in cui ho toccato il fondo e non avevo piede, e più provavo a trovare un appiglio e più andavo giù. Più prendevo appunti, più non vedevo quello che stavo scrivendo; più provavo ad uscire, e più una forza mi spingeva all’indietro. Ho sentito sulla pelle il viaggio di Alan, il viaggio di Saga Anderson, di Alice Wake – che ha insito un forte dualismo nel suo nome, diviso tra la curiosità morbosa del personaggio carrolliano e la capacità di risvegliarsi dal sogno (o dall’incubo). Dubito che gli intenti di Remedy fossero questi, ovviamente, ma è stato il modo con cui – dopo un viaggio tormentato che mi ha trascinato per i piedi alla fine del 2023 – mi sono approcciata al 2024.
Iniziando a scrivere l’Ultima Bozza.
Con la consapevolezza che le chiavi per uscire dal Luogo Buio ci sono, ma che bisogna tornare sui propri passi più e più volte per trovarle. Senza fretta, un passo alla volta. Lasciando andare, riappropriandosi di ciò che si è stupidamente lasciato indietro.
Parola dopo parola.
I was trapped in a thousand nights with no escape
Nightmares taking me over
And now I’m wide awake
And now I’m wide awake
Oh I died like a million times through the waves I break
The nightmare’s finally over
And now I’m wide awake
And now I’m wide awake
(“Wide Awake”, Jaimes)
Io l'ho cominciato qualche tempo fa, ho adorato molto la prima parte, quella nei boschi con Saga. Ma già nel secondo capitolo, uscito dallo studio televisivo, mi è salita la poca voglia di andare avanti e mi sono arenato lì.. senza nessuna particolare difficoltà a fermarmi, semplicemente non avevo più voglia di continuare.
É una cosa che mi capita spesso coi tripla A, ormai non ne gioco quasi più nessuno perché prima o poi mi annoiano in qualche modo. Poi magari mi faccio centinaia di ore in giochi che vengono criticati da chiunque (ad esempio The Phantom Pain é stato uno dei giochi in cui ho speso più ore in assoluto).